FotografiaPostProduzioneBlog - Fotografia e Postproduzione - Muhammad Alì

La postproduzione è un argomento molto controverso, che genera tante discussioni nel mondo della fotografia.

Cos’è la postproduzione?

In maniera molto semplificata e semplicistica è quel processo digitale, effettuato dopo lo scatto di una fotografia, che serve ad apportare alcune modifiche volte a migliorare la resa dell’immagine nel suo complesso.
Definita in questo modo, sembrerebbe esserci una differenza netta tra la fotografia al momento dello scatto e quella che viene fuori dopo il processo di postproduzione o sviluppo che dir si voglia. Ma in effetti la questione non è proprio in questi termini. Proprio per tale motivo le discussioni che spesso si sentono tra i fotoamatori principianti e/o tra i non addetti ai lavori sono tra le “opposte fazioni” dei puristi dell’immagine (o presunti tali), che affermano di non utilizzare tecniche di postproduzione perché “vogliono ottenere immagini cosiddette naturali” e invece coloro che vedono nella postproduzione il semplice sviluppo, oggi apportato digitalmente, che un tempo si eseguiva in camera oscura. Ho omesso, volutamente, di fare riferimento ai fotografi professionisti o ai fotoamatori evoluti, in quanto per costoro è impossibile essere in linea con la prima categoria sopra indicata.
Per chiarire questi concetti, bisogna fare un salto nel tempo, quando esisteva solo la fotografia analogica.

Ritorno al passato

Prima dell’avvento dell’era digitale il processo fotografico consisteva nel caricare un rullino con determinate caratteristiche in termini di sensibilità alla luce nella macchina fotografica, scattare le fotografie, portare il rullino presso un laboratorio fotografico che effettuava lo sviluppo, attraverso processi chimici, generando dapprima un negativo e poi la stampa dell’immagine. In maniera molto semplicistica possiamo dire, quindi, che veniva generata e poi stampata un’immagine, attraverso reagenti chimici, con caratteristiche differenti a seconda delle metodologie utilizzate, al modo in cui i reagenti stessi venivano adoperati ed alla carta fotografica impiegata, partendo da un rullino che avrebbe reagito alla luce in modo differente a seconda della tipologia dello stesso usata.

Quindi in passato la stampa di una fotografia avveniva dopo l’applicazione di un processo di sviluppo più o meno complesso; scatto e sviluppo/stampa erano le due facce della stessa medaglia, ovvero in mancanza di una delle due non si poteva portare a compimento la generazione dell’immagine.
Da ciò è evidente che l’unica differenza esistente tra la fotografia analogica e quella digitale consiste nella modalità di sviluppo: prima avveniva attraverso una vera e propria arte manuale, con l’ausilio di reagenti chimici, oggi avviene digitalmente tramite software di postproduzione. Si parla di risultati pressoché identici, ottenuti attraverso modalità differenti. In passato per avere porzioni di immagini più luminose si schermava quella parte di carta fotografica che sarebbe stata impressa dalla luce proveniente dal negativo: l’ombra generata riduceva quindi la quantità di luce che avrebbe colpito la carta e quindi in quell’area generava una maggiore luminosità, considerando che, passando dal negativo al positivo, meno luce si traduce in maggiore chiarezza. Oggi la stessa cosa si ottiene in Photoshop utilizzando lo strumento Dodge & Burn.

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La testimonianza reale di cosa avveniva negli anni passati ci arriva dalle immagini che rappresentano gli “appunti” di lavoro di Pablo Inirio, fotografo e stampatore ufficiale dell’agenzia fotografica Magnum, che ha trattato le fotografie dei più grandi fotografi mondiali. E’ possibile notare come Inirio annotava tutte le modifiche da apportare, zona per zona, al momento della stampa per ottenere il risultato voluto. Questa foto di Thomas Hoepker del 1966 che ritrae Muhammad Alì, contiene tutti gli appunti di Inirio da applicare in fase di stampa.

Blog - Fotografia e Postproduzione - Muhammad Alì
Blog - Fotografia e Postproduzione - James Dean

Altro esempio emblematico è la foto di Dennis Stock che ritrae un James Dean sotto la pioggia di New York: questa foto iconica è il risultato finale della collaborazione tra il fotografo e Pablo Inirio; questi schiariva, scuriva ed in genere elaborava le immagini per evidenziare o nascondere aspetti ritenuti più o meno interessanti.

Altra fotografia magistralmente stampata da Inirio è un altro scatto di Dennis Stock fatto ad Audrey Hepburn durante le riprese del film Sabrina nel 1954.

Pertanto la postproduzione è esistita da sempre, sono solo cambiate le modalità con la quale oggi viene fatta, probabilmente oggi adottando processi molto più semplici di quelli utilizzati in camera oscura. L’obiettivo di tutto ciò è dare quel qualcosa in più ad una immagine già bella di per sé, quel qualcosa che la rende particolarmente intrigante.

Ulteriore dimostrazione dell’intervento dell’uomo, fin dagli anni ’30, nella manipolazione delle immagini, in questo caso con interventi molto più pesanti, è rappresentato dalla fotografia che ritrae Mussolini durante la Campagna Libica.

Blog - Fotografia e Postproduzione - Pablo Inirio
Blog - Fotografia e Postproduzione - Mussolini

In questo caso dall’immagine è stata eliminata la persona sulla destra che tiene fermo il cavallo, ovviamente per dare maggior risalto, enfasi ed importanza alla figura di Mussolini; paragonate l’impatto mediatico della foto originaria con quella ritoccata per capire il perché dell’intervento apportato.

Altro esempio simile è questa foto che ritrae la Regina Elisabetta con il Primo Ministro canadese; in questo caso dalla foto originaria (quella a destra) è stato eliminato Re Giorgio, probabilmente per dare un carattere più istituzionale all’immagine.

Blog - Fotografia e Postproduzione - Regina Elisabetta

La postproduzione oggi

Dopo questo excursus sulla storia della postproduzione, necessario per chiarire aspetti nella maggior parte dei casi sconosciuti al pubblico, torniamo ai giorni nostri, ritornando a parlare dei presunti “puristi” della fotografia, ovvero di coloro che affermano di essere contrari alla postproduzione in quanto “mistificatrice” della realtà. Ebbene non c’è niente di più sbagliato di una simile affermazione e ne spiego immediatamente i motivi.
Innanzi tutto bisogna dire che i files generati dalle moderne macchine fotografiche (o anche da qualunque altro supporto) possono essere di due tipi: jpeg e raw. Il file raw è un file grezzo, che contiene tutti i dati della fotografia, ma che per essere reso fruibile deve essere elaborato, cioè sviluppato, attraverso software specifici; invece il file jpeg è un file che viene automaticamente postprodotto, secondo un algoritmo preimpostato, già nel dispositivo che lo ha generato. La differenza, quindi, tra un file raw sviluppato ed un file jpeg è che nel primo caso la postproduzione viene gestita dal soggetto che la esegue, mentre nel secondo caso viene eseguita direttamente dalla fotocamera che interpreta lo scatto in base a parametri preimpostati.
La postproduzione, quindi, può essere vista come uno strumento a disposizione del fotografo, al pari di una reflex o di un obiettivo, che permette di enfatizzare gli aspetti migliori e più interessanti di una fotografia.
E’, pertanto, estremamente sbagliato affermare il presunto principio delle “immagini cosiddette naturali”, semplicemente perché non esistono; piuttosto sarebbe più interessante aprire un dibattito sul limite della postproduzione, ovvero fino a quando è possibile ritenere una fotografia “giusta” o meno, fino a quando si può continuare a parlare ancora di fotografia e quando, invece, si finisce nel campo dell’arte grafica digitale. La definizione del “giusto” è un concetto abbastanza variabile e soprattutto ha una caratterizzazione assolutamente personale; tuttavia è palese che a volte tale limite viene abbondantemente superato. Molte volte è possibile vedere, soprattutto in rete, fotografie caratterizzate da una saturazione eccessiva, da un utilizzo smodato delle cromie e soprattutto da una evidente difformità rispetto al luogo ritratto: basti pensare ai paesaggi tempestati di cromie degne delle migliori aurore boreali!
Ovviamente nella definizione del limite della postproduzione ha importanza anche la tipologia di fotografia e l’uso a cui è destinata. La fotografia pubblicitaria, ad esempio, è una tipologia di fotografia dove spesso è richiesta e necessaria una forte postproduzione, un compositing fotografico: tutto questo nell’ottica di veicolare un preciso messaggio pubblicitario. Discorso analogo è la fotografia beauty, dove il viso della modella deve essere perfetto, esente da eventuali imperfezioni: in questo caso è normale ed ovvio attenuare le imperfezioni della pelle o le occhiaie della modella, uniformare il colore della pelle, proprio per la natura dello scatto.
In conclusione la postproduzione è sempre esistita ed è parte integrante ed imprescindibile del processo fotografico: attraverso di essa le fotografie prendono vita, vengono valorizzate attraverso l’evidenziazione degli aspetti migliori e l’eliminazione e/o l’attenuazione delle imperfezioni presenti. Questo perché non sempre la luce è ottimale o si riesce a scattare nelle migliori condizioni. Ma al tempo stesso, attraverso la postproduzione, si conferisce alla fotografia l’imprinting dell’autore, ciascun fotografo caratterizza la propria produzione e rende la foto diversa dalle altre. Una bella fotografia grazie ad una postproduzione accurata, ben fatta, acquisisce quel sapore particolare che fa la differenza e la rende magica, invece una foto scadente in partenza anche dopo la post rimane un’immagine qualitativamente poco interessante.

In definitiva è fondamentale non esagerare con l’attività di post, per restare all’interno di quel range che faccia rimanere tale una fotografia; non è necessario creare artifici assolutamente visibili ed irreali pensando, in tal modo, di produrre un’immagine di forte impatto emotivo. Anzi in questo caso si ottiene l’effetto contrario. Il vero segreto della post sta nell’applicarla senza renderla visibile.

E’ questa la differenza tra un professionista ed un autodidatta, saper comprendere il limite oltre il quale non andare!

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